Ecco in quali casi vige il divieto dell’aumento degli affitti e quando, invece, la cifra può essere modificata. Tutti i dettagli
La normativa nasconde delle direttive da conoscere per non rischiare problemi in caso di pagamento di un canone di locazione. Il cittadino che prende casa in affitto, deve pagare una cifra mensile al proprietario dell’immobile. L’importo viene stabilito al momento della sottoscrizione del contratto. Durante la firma al locatario sarà anche chiesto di versare un deposito cauzionale ed eventuali oneri accessori se non inclusi nel canone mensile.
In generale, la somma pattuita nel contratto non potrà essere modificata a meno che non intervengano precise condizioni. Partendo dal presupposto che il patto occulto di maggiorazione del canone è stato più volte considerato nullo dalla Giurisprudenza, approfondiamo la normativa sul divieto dell’aumento dell’affitto.
Aumenti degli affitti, quando vige il divieto e quando no
Canone e spese condominiali sono le uscite previste per il cittadino che prende in affitto un immobile. Nel contratto sarà indicata la somma che mensilmente andrà versata al proprietario nonché i termini e le modalità degli aggiornamenti, ove previsti. Secondo la legge, però, vige il divieto di aumentare il canone di locazione stipulando un accordo che tende a determinare un importo superiore rispetto a quello scritto del contratto registrato presso l’Agenzia delle Entrate.
Significa che se così fosse l’inquilino potrebbe chiedere la restituzione delle somme aggiuntive pagate procedendo entro sei mesi dalla riconsegna dell’immobile. La Cassazione ha ribadito tale possibilità in diverse sentenze. La pattuizione che determina un importo del canone superiore rispetto a quello del contratto scritto (patto occulto di maggiorazione) è nulla.
Il canone di affitto, dunque, può essere modificato solamente in due casi. La prima circostanza è l’aggiornamento anti-inflazionistico se prevista nel contratto tramite apposita clausola. L’importo, in questo caso, potrà essere ritoccato in base all’andamento dell’inflazione con aggiornamento automatico o su richiesta del proprietario. Ribadiamo, solo se la clausola è presente nel contratto di locazione. In caso contrario il proprietario nulla può pretendere dall’affittuario almeno fino alla scadenza del contratto.
La seconda circostanza è l’accordo tra le parti per ridurre l’importo del canone inizialmente stabilito nel contratto. Significa che proprietario e affittuario non possono accordarsi per prevedere un aumento ma possono mettersi d’accordo per una ipotetica riduzione. Tale accordo potrà essere redatto come scrittura privata non autenticata o come scrittura privata autenticato o atto pubblico con obbligo di registrazione in termine fisso (esente da imposta di bollo e di registro).